giovedì 25 maggio 2017

Memoria

La memoria è la capacità del cervello di conservare informazioni, ovvero quella funzione psichica o mentale volta all'assimilazione, alla ritenzione e al richiamo, sotto forma di ricordo, di informazioni apprese durante l'esperienza o per via sensoriale. La memoria può essere trattata, in maniera complementare, studiando i processi neurofisiologici associati presenti nel cervello e quelli psicologici, cioè dal punto di vista soggettivo intrapersonale.  La memoria è presente, a vari livelli, in tutti gli esseri animali; la sua importanza primaria sta nel fatto che non esiste alcun tipo di azione o condotta senza memoria (ad esempio nella condotta sociale, oppure nei fenomeni di rinforzo nell'apprendimento animale). Si può considerare inoltre la memoria come una delle basi che rendono possibile la conoscenza umana e animale, proprio in virtù della capacità di apprendimento, assieme ad altre funzioni mentali quali elaborazione, ragionamento, intuizione, coscienza.

Comunicazione non verbale

Non si comunica solo con la voce ma anche con gesti che non ci si accorge neanche di fare. Conoscere la comunicazione verbale e saperla gestire equivale a migliorare il proprio modo di porsi e di comunicare.
Spesso accade che parlando durante un colloquio di lavoro, un esame all'università o semplicemente con un amico, il nostro corpo, i movimenti che facciamo, gli atteggiamenti che abbiamo, rivelino qualcosa che in realtà vogliamo tacere a chi ci sta davanti. Ad esempio, durante un colloquio, vogliamo dare l'impressione di essere sicuri e distesi ma cominciamo a toccarci la gola, andando così a trasmettere segnali di angoscia.

Imparare a rendere coerente la comunicazione verbale e quella non verbale permette di essere più persuasivi e chiari migliorando così i rapporti interpersonali.
Infatti, le posizioni del corpo, i segni e i gesti che l'individuo esprime, durante un pensiero, durante un dialogo o altre forme di interazione, non sono casuali, ma correlati ai suoi stati emotivi.

Quali sono i canali di comunicazione non verbali? 

Movimenti del corpo: gesti, postura.
Fonemi paralinguistici: sorriso, sbadiglio, pianto, ma anche le pause che si fanno durante un discorso.
Posizioni nello spazio: una maggiore o una minore distanza dal interlocutore.
Abbigliamento e trucco: grazie al nostro modo di vestirci e truccarci, possiamo comunicare la nostra personalità.

Comportamenti spesso utilizzati:

Toccarsi la gola: la zona della gola è legata all'angoscia; quindi se non si vuole trasmettere questo stato d'animo al proprio interlocutore si eviti di giocherellare con catenine, sistemare cravatte o colletti o grattarsi questa zona.
Rosicchiarsi le unghie: è un gesto che scarica la tensione di chi lo compie.
Toccarsi le labbra: è un segnale di gradimento.
Portare l’indice ed il medio appaiati sulla guancia o davanti alle labbra: attenzione, riflessione. Accavallare le gambe ed intrecciare le dita delle mani attorno ad un ginocchio: atteggiamento caratteristico di chi è solito prendere le proprie decisioni con calma.

venerdì 17 marzo 2017

Il comportamentismo di Watson


Risultati immagini per piccolo albert watsonJohn Broadus Watson (1878 – 1958) è stato uno psicologo statunitense, considerato padre del comportamentismo, scuola nata dall’osservazione del comportamento degli animali.L’esperimento del “Piccolo Albert”, realizzato nel 1920, prese ispirazione dalle ricerche di Ivan Pavlov, che ha condotto importanti studi sulle modalità di condizionamento nei cani.Watson fu particolarmente ispirato dalle scoperte di Pavlov, e decise di  mostrare come le reazioni emotive potessero essere condizionate anche negli esseri umani.Il protagonista (potremmo pure dire cavia) dell’esperimento fu un bambino di 9 mesi, che venne ribattezzato da Watson Albert B., ed è passato alla storia come Piccolo Albert.Il giovane bimbo venne posto davanti ad un topolino bianco, verso il quale mostrò un certo interesse e curiosità.In un momento successivo, Watson produsse un forte rumore con un tubo di metallo nel momento stesso in cui il topolino veniva avvicinato ad Albert, provocandogli un forte spavento e un pianto a dirotto. L’associazione topo-spavento venne ripetuta più e più volte, tanto che Albert cominciò a piangere alla semplice vista del roditore.Ma i risultati non si fermano qui. Infatti dopo il condizionamento il piccolo Albert si mostrava spaventato non solo dal topo, ma anche da altri animali dal pelo bianco, e da oggetti simili, bianchi e lanosi, come una pelliccia della signora Rayner ed la barba di un costume di Babbo Natale! Questo fenomeno viene detto “generalizzazione dello stimolo”.Gli obiettivi dell’esperimento erano: dimostrare che una emozione come la paura è il risultato di un processo di condizionamento ambientale e studiare l’evoluzione del condizionamento attraverso l’osservazione sistematica.  Ed effettivamente Watson riuscì per la prima volta a dimostrare che un’emozione poteva essere indotta tramite condizionamento in un essere umano.Questo storico esperimento fu condotto nel 1920, parliamo di ben 93 anni fa, e le sue conclusioni, seppur possano apparire banali e scontate, furono ritenute molti importanti dagli studiosi dell’epoca. Tuttavia non possiamo negare che l’esperimento del piccolo Albert e le procedure adottate siano state eticamente discutibili, tanto che Watson venne fortemente criticato per il fatto di aver utilizzato un infante come “cavia”, che per di più era affetto da idrocefalia, nonostante il piccolo Albert venne  presentato come un bambino sano e normale.Ancor più grave, Watson e Rayner non prevederono un processo di decondizionamento per eliminare la paura indotta, così che Albert per la sua breve vita fu sempre terrorizzato da oggetti bianchi e pelosi.Infatti il piccolo Albert, che in seguito si scoprì chiamarsi Douglas Merritte, morì purtroppo nel 1925, all’età di soli 6 anni, proprio a causa della sua idrocefalia.
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Esperimento di Pavlov

L'esperimento classico di Pavlov si propone la dimostrazione del riflesso condizionato, cioè con uno stimolo naturale si è in grado di provocare il verificarsi di un determinato evento (risposta). Gli organismi (animali ed umani) imparano ad associare uno stimolo con un altro. Centrali per il condizionamento classico sono i riflessi, ovvero risposte non apprese e non controllabili, come la salivazione, la contrazione pupillare, la chiusura degli occhi.
Risultati immagini per pavlovAssociando per un certo numero di volte la presentazione di carne ad un cane con un suono di campanello, alla fine il solo suono del campanello determinerà la salivazione nel cane. La salivazione è perciò indotta nel cane da un riflesso condizionato provocato artificialmente.
Pavlov approntò la fase di condizionamento: dava da mangiare al cane ogni qualvolta si presentava il suono del campanello. Dopo varie ripetizioni, lo stimolo del campanello si trasformava in stimolo condizionato capace di produrre da solo una risposta, questa volta condizionata, di salivazione. Pavlov si rese anche conto che, più corto era il tempo fra la suoneria e l'arrivo del cibo, più rapido era l'apprendimento del riflesso.
Lo stimolo incondizionato è qualsiasi stimolo che naturalmente evoca un comportamento riflesso, ad esempio la salivazione in seguito alla vista/odore del cibo; risposta incondizionata è il comportamento riflesso, come ad esempio la salivazione, evocato da uno stimolo incondizionato; stimolo neutro è uno stimolo che non ha alcun significato per l'organismo (campanello). Quando è associato a uno stimolo incondizionato, lo stimolo neutro può diventare uno stimolo condizionato.
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Stella

Francia, 1977. Stella, una ragazzina dei quartieri operai, viene ammessa a frequentare il primo anno di una prestigiosa scuola media, dove si trova come un pesce fuor d'acqua finché non conosce Gladys, la prima della classe, amica per errore e per fortuna. 

Risultati immagini per stella filmPrima che Gladys le offra le parole che le mancano, Stella è cresciuta con i testi del juke-box, per casa un rumoroso bar di periferia e per famiglia una schiera di disadattati e alcolisti; presenze fisse ma non propriamente mature. 
Stella, della regista Sylvie Verheyde, è dunque il racconto di ciò che avviene quando una ragazzina spensierata e trascurata comincia a prendere coscienza che il suo mondo non è l'unico possibile, non è il migliore, forse non è nemmeno più quello che la fa felice. Nessuno, fino ad ora, le aveva mai insegnato l'ortografia, nessuno le aveva mai detto che esiste una scrittura "retta" dell'esistenza e che lei, se non si trova agli antipodi, di sicuro parte quanto meno "svantaggiata". A noi spettatori, però, lo anticipa la macchina da presa, superandola regolarmente nella sua corsa verso casa, come a sottolineare il gap, la strada che le resta da fare. 




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